Come nasce un caffè Decaffeinato
LA DECAFFEINIZZAZIONE
Quando si sente parlare di caffè decaffeinato si ha sempre l’impressione che si tratti di un caffè alterato o comunque non paragonabile al caffè intero. Ma per il consumatore comune la distinzione è praticamente impossibile (fate una prova con i vostri amici, facendo loro assaggiare un buon decaffeinato e dicendo che è intero: nessuno sarà in grado di riconoscerlo); inoltre un caffè di scarsa qualità resta di scarsa qualità anche una volta decaffeinato, così come uno buon caffè interno rimane un buon caffè anche dopo essere stato decaffeinato.
LE FASI DELLA LAVORAZIONE
La decaffeinizzazione del caffè verde è ottenuta tramite diversi processi di estrazione, i quali differiscono l’uno dall’altro principalmente per la sostanza estraente utilizzata. Le fasi di lavorazione sono comuni ai diversi sistemi e comprendono:
Gonfiaggio
Il caffè è trattato con acqua e vapore acqueo al fine di iniziare l’estrazione e “gonfiare” i chicchi che, distanziando le loro strutture cellulari, permettono una più efficiente ed omogenea estrazione della caffeina.
Estrazione
Il caffè viene sottoposto all’azione di uno specifico solvente che “cattura” la caffeina e la trascina fuori dal chicco.
Recupero del solvente
Il solvente è rimosso in modo praticamente totale dal caffè e recuperato per un successivo riutilizzo; questo stadio operativo viene particolarmente curato poichè la legge impone determinati limiti massimi di residui.
Asciugatura
Dal caffè viene eliminata quasi tutta l’umidità presente.
Confezionamento
Il caffè è insaccato nei sacchi originali, o in sacchi nuovi se necessario.
Analisi
Viene verificato il residuo di caffeina (non superiore a 0,1% in peso in Italia e gran parte dei paesi europei), di solvente (non superiore a 2 p.p.m. sul tostato per il diclorometano) e di umidità (per la legge italiana non superiore a 11%).
SOLVENTI DI ESTRAZIONE
ACQUA
Solvente che gode di un’ottima immagine commerciale e fu tra i primi a essere utilizzato nell’ambito delle decaffeinizzazione. Il suo utilizzo è piuttosto complicato perché scarsamente selettivo, estraendo dal caffè non solo la caffeina ma anche parte delle componenti aromatiche idrosolubili contenute nel prodotto. Per ovviare a tali inconvenienti la metodologia di lavorazione segue diverse strategie: l’acqua di estrazione può essere preventivamente saturata dei precursori degli aromi contenuti mediamente nel caffè al fine di inibire la loro estrazione dal caffè processato (ma in tal caso comunque si verifica un certo scambio di molecole tra soluzione e caffè, modificando le caratteristiche del prodotto) oppure si fa estrarre all’acqua la caffeina e i precursori degli aromi idrosolubili, si rimuove la caffeina dalla soluzione acquosa mediante un solvente di estrazione o mediante l’utilizzo di carboni attivi e si fanno riassorbire al caffè di partenza le molecole perse durante il processo. Gli sviluppi più recenti del processo di lavorazione rendono tale sistema di estrazione economicamente e qualitativamente realizzabile; il prodotto, crudo, che se ne ottiene risulta relativamente scuro, caratteristica che scompare successivamente al processo di tostatura. Quest’ultima è piuttosto complicata e va condotta sulla base di parametri e curve specifiche per tale prodotto.
ACETATO DI ETILE
È un solvente selettivo per la caffeina e si trova anche in natura: si tratta infatti di una sostanza spesso presente nella frutta e viene per questo ben considerato (anche se, per l’estrazione, viene normalmente usato quello di sintesi). Presenta 2 rilevanti inconvenienti: è altamente infiammabile e ha un odore fruttato. La sua gestione risulta quindi piuttosto delicata, incidendo sui costi di produzione e, normalmente, conferisce al caffè trattato con tale mezzo estraente il suo odore caratteristico, alterandone leggermente il gusto.
ANIDRIDE CARBONICA SUPERCRITICA
Si tratta di un processo che avviene ad altissime pressioni ed elevate temperature; in tali condizioni l’anidride carbonica passa allo stato supercritico presentando proprietà intermedie tra quelle di un liquido e quelle di un gas. In tali condizioni l’anidride carbonica acquisisce caratteristiche di selettività e velocità di estrazione che ne fanno un prodotto adatto alla rimozione della caffeina dal caffè. Gli impianti necessari a tale tipo di lavorazione sono estremamente costosi in quanto costretti a funzionare a pressioni elevatissime (250-300 bar); analogamente impongono elevati costi la loro gestione e manutenzione. Il processo inoltre risulta piuttosto energivoro e utilizzabile solamente su quantità rilevanti di prodotto; per tale motivo risulta difficilmente utilizzabile per coloro che desiderano decaffeinare quantità più limitate del proprio caffè.
ANIDRIDE CARBONICA LIQUIDA
Per ovviare all’utilizzo di pressioni estremamente elevate necessarie allo stato supercritico, sono state sperimentate condizioni di lavoro subcritiche (anidride carbonica allo stato liquido). In questo caso la decaffeinizzazione può essere realizzata a temperature inferiori (20-25°C) e a pressioni inferiori, sebbene comunque elevate (65-70 bar). In tali condizioni la velocità di estrazione della caffeina si riduce di molto, allungando i tempi del processo.
DICLOROMETANO
È il solvente più diffuso per la decaffeinizzazione del caffè verde, è stato tra i primi a essere utilizzato a livello industriale e pertanto il processo è già altamente perfezionato, anche se viene costantemente migliorato. Si tratta di una sostanza che agisce selettivamente sulla caffeina, è molto volatile (evapora a 40°C) e, pertanto, viene eliminata dal caffè con relativa facilità per mezzo di vapore acqueo. La qualità del prodotto che si ottiene con tale solvente è molto elevata perché vengono mantenute intatte le caratteristiche organolettiche del caffè di partenza, vista l’elevata selettività nei confronti della caffeina. Il processo di decaffeinizzazione Demus a diclorometano rimuove anche le cere contenute nel chicco (C-5-HT), rendendo il caffè più leggero e digeribile.
IL METODO CON DICLOROMETANO
Per la decaffeinizzazione del caffè crudo si utilizza un solvente organico di purezza atta all’uso alimentare e impiegato con frequenza in tale ambito e in quello farmaceutico: il diclorometano (o cloruro di metilene).
Nel processo di decaffeinizzazione tale sostanza interviene come “coadiuvante tecnologico” e come tale viene classificato, in base al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109. Il diclorometano, infatti, non determina alcuna reazione chimica nel chicco, bensì ha la sola funzione di sciogliere la caffeina con cui viene a contatto e di estrarla fisicamente dal caffè.
Essendo questa sostanza altamente volatile, il prolungato flussaggio finale di vapore acqueo ne garantisce la rimozione già nell’ultima fase di lavorazione.
È pertanto evidente che, dopo la tostatura (che avviene a temperature che superano i 200°C), non sia possibile rilevarne tracce: lo confermano i molteplici e accurati controlli strumentali eseguiti su ogni lotto lavorato.
VANTAGGI DEL PROCEDIMENTO DI DECAFFEINIZZAZIONE
Il processo utilizzato, oltre ad estrarre la caffeina rimuove anche:
- le cere presenti nello strato esterno del chicco di caffè, rendendo il caffè decerato oltre che decaffeinato, e perciò più digeribile;
- potenziali contaminazioni di Ocratossina A, rendendo più sicuro il prodotto qualora fosse contaminato;
- eventuali aromi negativi presenti sul caffè, in particolare il tricloroanisolo (responsabile del gusto “rio”) e la geosmina (responsabile del gusto “terra”).
FONTI: DEMUS